“Il linguaggio segreto dei fiori” (Garzanti 2016) di Vanessa Diffenbaugh faceva parte del Sorpresario della Moka, premio che ho vinto con il concorso fotografico Libragosto 2016! Il concorso era stato organizzato dalla pagina Facebook “La moka letteraria” di Laura Padoan, che aveva confezionato il premio. Nella scatola, piena di tante cose, c’era anche questo libro. E mi sono sentita ispirata a leggerlo: ho preso questo bel volume a copertina morbida e l’ho letto in pochi giorni.
La protagonista è Victoria, una giovane donna che è stata una bambina infelice e maltrattata, abbandonata alla nascita e sballottata da una famiglia adottiva all’altra, fino alla casa famiglia che l’ha ospitata fino ai 18 anni. Poi ha dovuto cavarsela da sola.
Parallela corre la storia del passato di Victoria, quando da bambina aveva sfiorato la possibilità di avere una mamma e una famiglia.
Il libro ha un ritmo incalzante e Victoria all’inizio suscita compassione. Non ama il contatto fisico, none piace parlare di sé ma conosce il linguaggio dei fiori e lo usa. Lo usa con un uomo che non riconosce subito ma che invece riconosce lei e le risponde nella stessa lingua fatta di petali e colori.
Ma per Victoria le cose si complicano o, meglio, se le complica da sola. È convinta di vivere in una spirale di errori e abbandono che include generazioni di madri e figlie per le quali tutto andrà sempre male. Crede di poter fare solo del male agli altri ma penso che in fondo non volesse bene a se stessa.
Il linguaggio segreto dei fiori mi ha affascinata. Il dizionario personale e univoco di Victoria si trova alla fine.
Il libro contiene anche un’intervista all’autrice, che nella vita ha aperto la sua casa e il suo cuore a ragazzi che non avevano famiglia. Un tema che le è particolarmente caro quello delle adozioni e dei giovani senza famiglia che ad un certo punto della vita devono lasciare le strutture che li hanno ospitati per affrontare il mondo. Un tema che pochi conoscono nei dettagli e che l’autrice ha voluto portare alla luce.
— Spoiler —
Finché Victoria era una bambina, finché era una ragazza con dei problemi, ho cercato sempre di capirla. Quando incontra Grant, nipote della donna che stava per adottarla, se ne innamora (anche se in una relazione a dir poco stravagante) e resta incinta, posso ancora capire. Ma il modo in cui è scappata sa lui incinta, ha avuto la bambina e poi improvvisamente l’ha abbandonata da Grant tra il muschio, non lo accetto: ha messo in pericolo la vita di una bambina lasciandola da sola per ore più di una volta e non la riesco a giustificare. Prima la compativo, poi mi è diventata antipatica e ho compreso quanto fosse mentalmente disturbata. Impossibile affidarle una bambina. Avrebbe avuto bisogno di un sostegno psicologico che nessuno le ha consigliato, né fornito. E invece di aiutarla in questo senso, alla fine le viene dato del tempo per abituarsi a non scappare più dalla donna che avrebbe dovuto adottarla, dal suo compagno e da sua figlia. Non mi è piaciuto per niente questo finale.
E poi tutto viene fatto fuori legge. Quando impara a guidare, non prende la patente; quando mette su il suo negozio di addobbi floreali, non mi pare che ci paghi le tasse; subentra lei nell’affitto dell’apprtamento che divide con un’altra donna pagandolo per intero e di contratti neanche l’ombra; e quando nasce sua figlia, ci mette mesi per scegliere un nome e poi la lascia senza nome dal padre: ma è stata registrata all’anagrafe? Pensavo che mi sarebbe piaciuto di più questo libro ma mi ha delusa.
Mi è rimasto solo il ricordo del linguaggio dei fiori. Solo che non voglio scegliere un significato univoco per ogni fiore, come ha fatto Victoria nel suo dizionario personale. Alcuni fiori hanno più di un significato e bisognerebbe conoscerli tutti.