Il 31 dicembre mi è stato prestato il libro “Bruciata viva – Vittima della legge degli uomini” (Piemme 2004) che ho letto nei due giorni successivi! La signora che me lo ha prestato me lo aveva detto che questo libro si legge in un soffio. Ed effettivamente è stato come bere un bicchiere d’acqua. E sempre il 31 dicembre ho ricevuto in regalo un segnalibro realizzato a mano, che devo dire è più che adatto a questa lettura, perché sopra c’è scritto: “Solo chi ha il coraggio di scrivere la parola fine può trovare la forza per scrivere la parola inizio”. Ed è esattamente questo che fa la protagonista: mette fine a un passato di schiavitù e soprusi nella sua stessa casa, per ricominciare una nuova vita. L’errore che fa è di voler cancellare il passato: il passato non si cancella, perché è parte di noi e ci dice da dove veniamo. Basta prenderne la parte buona e imparare da quella negativa. E il suo passato in Cisgiordania comprendeva un figlio illegittimo che lei in qualche modo nasconde ma che in fondo è sempre lì.
La donna che scrive questo libro si chiama Suad ma si tratta di un nome fittizio. Nel suo paese la sua famiglia la crede morta e di suo figlio non sa nulla, primo fra tutti il padre biologico che ha abbandonato Suad quando ha saputo che era incinta.
Lei è una donna coraggiosa, bruciata viva da suo cognato perché incinta e non sposata. Una donna analfabeta e profondamente ignorante, perché è più facile sottomettere qualcuno che non sa niente del mondo e la cui idea di vita non supera i confini del proprio villaggio. La cultura è libertà.
Non vi darò altri dettagli su questa storia, perché credo sia meglio scoprirla passo dopo passo insieme al racconto in prima persona si Suad. Solo così si può almeno in parte comprenderla e capire certe sue scelte, azioni e idee, legate a un mondo che nulla ha a che fare con quello occidentale, quello che noi consideriamo “normale”. Ma la nostra idea di normalità non è quella che aveva Suad prima di essere salvata. La sua disgrazia, quella gravidanza inaspettata e le sue ustioni sono state in qualche modo la sua salvezza. Ha avuto nella vita molto più di quello che avrebbe mai potuto sperare e immaginare ma il suo corpo deturpato dalle cicatrici è stato il duro prezzo da pagare per il cambiamento.
A salvarla è Jacqueline, alla quale sono stati affidati due capitoli di questo libro. Jacqueline lavorava per l’organizzazione umanitaria “Terre des hommes”, senza dimenticare la fondazione Surgir, di cui si parla nel libro, che aiuta donne come Suad. Ed è stata lei, Jacqueline, a compiere il miracolo, salvando Suad da morte certa e suo figlio da un destino in orfanotrofio come figlio illegittimo. Per ringraziare lei, Suad ha accettato di scrivere questo libro, che definisce una sorta di album che testimonia cosa sia il delitto d’onore.
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È per i bambini che scrivo!
Pensieri su… “Quel giorno che incontrai Johnny Depp”
Si legge in un soffio il racconto di Amalia Santiangeli “Quel giorno che incontrai Johnny Depp” (flower-ed 2015).
La scrittura è scorrevole e sembra di stare insieme a un’amica che davanti a un tè caldo ti racconta in prima persona la sua vita e la sua storia d’amore. E chi è il fantastico “lui”? Niente di meno che Johnny Depp! Sì, il famoso attore!
Si comincia con una coincidenza, ammesso che le coincidenze esistano: lei è lì e lui è lì nello stesso momento. Ma bisogna tenere i piedi per terra: lui è un attore hollywoodiano! E quando sembra che l’ovvio epilogo di questo fortuito incontro sia arrivato… Dovete leggere il racconto per scoprire cosa succede! Non voglio anticiparvi niente. E poi il racconto lascia intendere che ci potrebbe essere un seguito… Anche se per ora pare non sia previsto.
Passerete dei piacevoli momenti in compagnia di questa lettura, leggera ma divertente, semplice e immediata. Peccato per qualche piccolo errore di battitura ma quelli si possono sempre correggere.
Consiglio per l’autrice: ho letto da qualche parte che Johnny Depp avrebbe dei seri problemi di vista. Chissà, è un particolare che potrebbe rendere questa storia più reale in un ipotetico seguito…
Non avevo mai letto nulla Amalia Santiangeli ma credo che non mi fermerò a questo racconto.
Fine e inizio
Fine anno, tempo di bilanci e di progetti. Ed eccomi qui a chiedermi: “Com’è stato quest’anno?”. Il 2015 mi ha portato alti e bassi, com’è normale che sia. Ma mi ha riservato anche soddisfazioni e piacevoli sorprese.
Quest’anno devo dire che ho avuto occasione di terminare diversi progetti letterari. Primo fra tutti, la biografia “Quel Bergoglio, questo Francesco” alla quale ho collaborato come correttore di stile. Una bellissima esperienza che mi ha permesso di conoscere molto su Papa Francesco.
Sono molto felice anche dell’uscita del libro “Viola su carta – Saggio sulla scrittura a mano e non solo” (Arduino Sacco Editore) con l’introduzione della grafologa Iride Conficoni, che non potrei non ringraziare per il suo prezioso contributo. Insieme a lei, devo ringraziare il grafologo Claudio Garibaldi, che ha commentato nel libro l’intervista per la Radio Vaticana che gli avevo fatto sulla “Campagna per il diritto di scrivere a mano”. E poi c’è Daniela Mennichelli, anche lei grafologa, che tanto ha apprezzato questo libro e con la quale ho tenuto una breve corrispondenza epistolare.
Quasi per caso ho partecipato al concorso nazionale indetto da Cultora con un mio racconto breve. Risultando tra i vincitori, il mio racconto è stato pubblicato nell’antologia “I racconti di Cultora Centro-Sud” (Historica Edizioni). Ho partecipato alla premiazione a Roma ed è stato davvero emozionante.
Sempre per caso mi è stato segnalato il concorso regionale “Questione di genere”, indetto dalla Biblioteca di Poggio Moiano e finanziato dalla Provincia di Rieti. Ho partecipato con un saggio giornalistico e sono risultata tra i vincitori. Bella la cerimonia di premiazione al teatro di Poggio Moiano, che prevedeva anche la lettura degli scritti vincitori, pubblicati in un’antologia che è conservata nella biblioteca del paese.
E poi devo ringraziare gli editori e tutte le scrittrici che mi hanno fatto avere le loro opere nel corso dell’anno: è stato un onore e un piacere recensire libri di autrici che hanno pubblicato con piccole case editrici o si sono autopubblicate. So quanto sia difficile farsi conoscere al grande pubblico e sono stata più che felice di ospitarle nel mio blog con recensioni e interviste. Ho ricevuto altri libri proprio in questi giorni ma non vi anticipo niente: sarà una sorpresa!
Vorrei ringraziare tutte le persone che seguono questo blog e anche chi mi conosce attraverso la pagina e il gruppo su Facebook “Le Quadrobambole”. Grazie per tutto l’affetto e l’interesse che mi avete dimostrato.
E spero che il prossimo anno sia per tutti ricco di libri e nuove letture!
Buoni propositi del lettore per l’anno nuovo…
Pensieri su… “La fabbrica di cioccolato”
Che meraviglia! Un libro fantastico, a misura di bambino ma che farebbe bene anche a molti adulti…
Roald Dahl mi era piaciuto con “Le streghe” ma “La fabbrica di cioccolato” (Salani 2006) è un piccolo capolavoro! Ho cominciato a leggerlo il 24 dicembre di notte e l’ho finito il giorno dopo. Volevo una favola da leggere per Natale e l’ho trovata.
La copertina riporta le foto Johnny Deep nel ruolo di Willy Wonka e i bambini che hanno recitato nel film “La fabbrica di cioccolato” del 2005. Avrei preferito una versione cartacea che non facesse riferimento a nessun film. Quello che mi interessava era il libro. Ma chissà quanta gente lo avrà acquistato solo dopo aver visto questo film… In ogni caso, meglio così: almeno hanno comprato un bel libro! Per quanto mi riguarda, ho trovato questo libro in una bancarella dell’usato per un Euro. E aspettavo il momento giusto per leggerlo: è stato come bere un bicchiere d’acqua. Un capitolo tira l’altro. I capitoli sono tutti brevi, ci sono anche dei disegni simpatici, nessuno si fa male e poi arriva il lieto fine! Il piccolo Charlie, un esempio per tutti i bambini, cambia le sorti della sua famiglia grazie a un colpo di fortuna e alla sua bontà ed educazione. Insegue un sogno: quello di visitare la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. E alla fine addirittura la eredita! Ma il personaggio più affascinante è nonno Joe: un anziano addormentato dalla povertà e da una vita monotona che ritrova la voglia di vivere grazie all’avventura di visitare la fabbrica di cioccolato insieme al nipote.
L’autore, il “gigante” Roald Dahl, ha dimostrato di avere non solo un’infinita fantasia, inventando una incredibile fabbrica di cioccolato e dolci di ogni tipo, ma ha anche voluto insegnare tante cose ai più piccoli, divertendoli. Cosa ci insegna in questo libro? Quattro semplici cose:
1. L’obesità infantile non va sottovalutata: attenzione! Un bambino in sovrappeso, al contrario di quanto a volte si è portati a pensare, non è un bambino in salute.
2. Non è un bene masticare continuamente la gomma americana e non è un bello spettacolo da vedere.
3. Ogni genitore vorrebbe dare tutto al proprio figlio ma dire sempre di sì a un bambino e viziarlo non è certo un bene.
4. Quanti bambini stanno sempre davanti al televisore? Penso troppi. E nel libro ci si chiede: ma come si faceva in passato? C’erano i libri e si usava la fantasia. E allora togliamo i televisori e mettiamoci i libri! Non che guardare la tv sia completamente sbagliato ma, si sa, “il troppo stroppia”…
Leggete questo libro ai più piccoli e insegnate loro l’amore per la lettura!
Pensieri su… “La vera storia di Babbo Natale”
Chi è il protagonista del Natale? E chi dovrebbe esserlo? Babbo Natale è ovunque ma il Natale non è la sua festa.
Ce l’avevo da tanto tempo tra i libri da leggere e finalmente quest’anno sono riuscita a leggerlo. Si tratta di “La vera storia di Babbo Natale” (Raffaello Cortina Editore 2011) di Alfio e Michele Maggiolini, due fratelli. Infatti nel libro si trovano anche loro ricordi personali. Forse raccontati in maniera un po’ troppo diretta, parlando l’uno dell’altro. Avrebbero potuto scrivere il ricordo in maniera più formale. Bella la prima parte del libro, in cui si parla dell’origine della festa del Natale e della figura di Babbo Natale; un po’ ridondante e ripetitiva la seconda, in cui ci si interroga sul credere o non a Babbo Natale. Ci sono troppe domande dirette. Il libro è, nel complesso, scorrevole.
Si parte da lontano, da quando il 21 dicembre era la festa del Sole, il Solstizio d’Inverno. Il fatto che il Natale odierno cada il 25 dicembre sarebbe un “accidente storico, dovuto al modo in cui, nel corso dei secoli, sono stati stabiliti e modificati i calendari”. Nel 46 a.C. Giulio Cesare, nella qualità di pontefice massimo, avrebbe dichiarato il 25 dicembre come giorno più breve dell’anno, secondo le valutazioni di un astronomo greco per il calendario giuliano. “Nel IV secolo d.C., una revisione del calendario da parte della Chiesa stabilì l’equinozio d’inverno il 21 dicembre, dissociandolo così dalla festa del Natale”. Forse c’è stato un errore, perché si tratta di solstizio d’inverno e non di equinozio.
A Roma si celebravano i Saturnali, che terminavano il 25 dicembre, e avevano due protagonisti: il dio Saturno e l’eroe solare Mitra. E già ci si scambiavano doni e si addobbava la casa. Ma era una festa degli eccessi e della trasgressione, oggi associati al Capodanno o al Carnevale. “In realtà, la Chiesa ha iniziato a celebrare la nascita di Gesù Cristo solo a partire dal IV secolo, tra il 325 e il 354, dopo il Concilio di Nicea (325) convocato e presieduto da Costantino I”. E poi: “La Chiesa propose espressamente il 25 dicembre come festa della nascita di Cristo in sostituzione del Dies natalis Solis invicti, intorno al 350”. Ma solo da metà Ottocento il Natale sarà la festa più importante dell’anno. Ed è nel 1843 che viene pubblicato il “Canto di Natale” di Charles Dickens. Poi arriva il Novecento con il cinema e numerose versioni del “Canto di Natale”. Nel libro si menzionano il film del 1946 “La vita è meravigliosa” di Frank Capra e “Miracolo nella 34° strada” del 1947, diretto da George Seaton, e la più recente versione del 1994 diretta da Les Mayfield, in cui Kris Kringle viene riconosciuto come Babbo Natale e il Natale viene associato al consumismo, inteso come acquisti per gli altri. E Babbo Natale guadagna terreno, anno dopo anno.
Qual è l’origine di Babbo Natale? L’America. Nel 1882 il pastore luterano Clement Clark Moore scrisse un racconto breve in versi dal titolo “A Visit from Saint Nicholas”, conosciuto anche come “The Night before Christmas”, come recita il primo verso. Era una storia scritta per la famiglia ma un amico del reverendo pubblicò il racconto sul “Sentinel” della città di Troy, nello stato di New York. Il successo fu immediato quanto inaspettato.
Per scrivere questo racconto, il reverendo Moore si era ispirato alla leggenda sull’origine di New York, scritta da Washington Irving nel libro “Knickerbocker’s History of New York” del 1812. Lo stesso Irving si era ispirato a una satira del 1809 da Dietrich Knickerbocker: “A History of New York”. Una nave con San Nicola, protettore dei marinai, sulla polena, si arenò sulle coste americane dopo una tempesta. Una notte a un marinaio apparve in sogno San Nicola. Il santo gli fece una promessa: se avessero fondato lì una città, lui in cambio ogni anno avrebbe portato doni ai bambini su un carro, scendendo per i camini. La città era New Amsterdam, poi New York.
Le illustrazioni contribuirono a costruire l’immagine di Babbo Natale. Il primo a occuparsene fu Thomas Nast, nel 1863, che lo raffigurò su un campo di battaglia. “Il grande salto avvenne, tuttavia, con l’associazione tra Santa Claus e la Coca-Cola (…). Nel 1931 la campagna pubblicitaria fu affidata al grafico Haddon Sundblom”. Ed è questo il Babbo Natale che conosciamo. Ma non è certo che sia stata la versione di Sundblom la prima in cui Babbo Natale appariva in bianco e rosso.
Diversa è la figura dell’inglese Father Christmas, personificazione del Natale prima di Santa Claus. “La sua prima apparizione è del 1435, in un carol attribuito a un rettore inglese. Nella letteratura del Settecento e dell’Ottocento compare come personificazione della stagione, senza abiti particolari, normalmente con una lunga barba bianca o grigia, spesso con la testa coronata di figlie e un bastone”. Era un buontempone amante della festa che non portava doni ai bambini. Poi Father Christmas si è trasformato in Babbo Natale.
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La seconda parte del libro contiene, secondo me, delle affermazioni azzardate. Ad esempio, si paragonano alcune presunte foto di fate, poi dichiarate false, con l’apparizione della Madonna di Fatima, che non fu fotografata. Un paragone che non ha minimamente senso. E di seguito: “Ci sono adulti che credono ai fantasmi, ai miracoli o all’oroscopo, ma nessuno crede a Babbo Natale”. Mi chiedo come si possa fare di tutta l’erba un fascio in questo modo!
E ancora: “La perdita della credenza non è istantanea, ma occupa un periodo di transizione in cui può essere parzialmente mantenuta in vari modi: “Io non ci credo più a Babbo Natale, adesso credo a Gesù Bambino”. A volte sembra sfumare – “Ci credo a Babbo Natale e a Gesù, ma poco” -, come se credere/non credere non fosse una semplice alternativa, ma potessero esserci vari gradi di credenza”. Capiamoci: un conto è credere o non credere che siano Babbo Natale o Gesù Bambino a portare i doni, altra cosa è credere in Babbo Natale o in Gesù!
Di nuovo si fa confusione parlando del film “Miracolo nella 34° strada” del 1994. Kris Kringle dice di essere Babbo Natale e finisce sotto processo. Sta per perdere la causa, lui non può definirsi Babbo Natale, finché una bambina porta al giudice una banconota da un dollaro su cui c’è scritto “In God we trust”. E così il giudice afferma: “Ora, se il governo degli Stati Uniti può stampare la propria valuta riportando una dichiarazione di fede in Dio senza domandare una prova concreta dell’esistenza o non esistenza di un essere più grande di noi, allora lo Stato di New York, dopo una simile dimostrazione della fede collettiva del suo popolo, può accettare il fatto che Babbo Natale esiste, ed esiste nella persona di Kris Kringle! Il caso è chiuso!”. Premettiamo che questo film è bellissimo ma in questo passaggio si è superato il limite. Siamo al Vello d’Oro: credo in quello che voglio e allora esiste! La fede in Dio è un’altra cosa, non è certo come credere in Babbo Natale!
Di nuovo non concordo con una conclusione presente in questo libro: “A differenza dei riti di passaggio, la religione è ampiamente presente nel mondo moderno, a dispetto di ogni progresso scientifico e tecnologico, nonché delle trasformazioni subite dalla coscienza individuale, da Oriente a Occidente. In teoria, questo successo sembra la migliore dimostrazione della diffusione delle credenze, di un modo di pensare non sottoposto alla verifica della ragione, e sembra smentire ogni progresso illuministico della ragione”. Cioè, la fede finisce dove esiste la tecnologia? Allora vogliamo fare finta che Gesù non sia mai esistito e non abbia detto niente! In questo libro non si pone l’accento su un fatto, mai: il nostro calendario, da 2015 anni a questa parte, è interamente basato sulla nascita di Gesù. O vogliamo ancora fare finta di niente?
Di pessimo gusto il paragone tra Babbo Natale e Benedetto XVI, “che indossa il camauro, il tradizionale berretto invernale in velluto rosso bordato di ermellino”.
Leggo ancora: “Babbo Natale ci appare come perfetto rappresentante immaginario di una fede, seppure per bambini, che non ha bisogno di religione”. Di nuovo, non sono d’accordo. Babbo Natale non è una fede per bambini ma un personaggio immaginario, un po’ come un amico immaginario, che crescendo se ne va. Tutto qui. Non è affatto una fede.
Vengono poi citati due film: “Habemus Papam” di Nanni Moretti (2011), in cui si parla di un papa affetto da una crisi di panico, e “Il discorso del re” di Tom Hooper (2010), che racconta della balbuzie di Giorgio IV. “Entrambi sono spaventati dall’assunzione del ruolo. Non hanno difficoltà a credere, ma hanno il terrore di essere creduti e di “credersi”, pensando che il Verbo possa essersi incarnato in loro”. Ho capito bene? Ci sarebbe la possibilità di un papa che ha difficoltà a credere a se stesso, quindi a quello che dice?
Sono d’accordo invece quando dice: “In realtà, non è chiaro perché dovremmo avere bisogno di figure di fantasia, affermandone contemporaneamente l’esistenza reale, per spiegare ai nostri figli il valore dell’altruismo o la bellezza del dono. Non ci sono nemmeno prove, almeno finora, che i bambini che credono a Babbo Natale siano più buoni e generosi di quelli che non ci credono, né che la perdita della credenza li metta in qualche modo a rischio di perdere anche la fede nei valori da lui rappresentati. Sembra svanito, inoltre, nel mondo attuale, l’obiettivo di usare la promessa di un dono per mantenere i bambini obbedienti; d’altra parte, la fede in Babbo Natale non aiuta i bambini neppure ad affrontare pe paure o i disagi quotidiani, perché Babbo Natale non è un protettore al quale ricorrere con la preghiera nei momenti di difficoltà”. Sono d’accordo ma non nell’ultima parte: di nuovo si fa confusione. Cosa c’entra il rivolgersi a Babbo Natale con le preghiere?
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Nel primo capitolo si legge del Natale: “Per i Cristiani è un evento religioso, che celebra la nascita di Gesù. Il termine Natale rimanda esplicitamente alla nascita. (…) Per tutti, anche per chi non è cristiano, è una festa che celebra i legami familiari e che, attraverso lo scambio di doni, rinnova i legami sociali. (…) Per qualcuno, infine, è il giorno della solidarietà verso i poveri”.
Proprio avendo letto questo libro, vorrei fare una riflessione. Quando si pensa al Natale, l’elemento non religioso più comune è Babbo Natale, seguito a mio avviso dalle vacanze natalizie. Il Natale è entrato in tutte le case come momento dell’anno in cui si prepara l’albero di Natale e ci si scambiano regali. Credo però che si rischi di perdere il vero significato del Natale. Nel libro si legge che la tradizione dell’albero è ormai radicata mentre meno persone realizzano un presepe in famiglia. Credo che non dovremmo dimenticare l’insegnamento di San Francesco con il primo prese vivente. Perché sì, l’albero è bello, pieno di luci e colori, ma il vero simbolo del Natale è il presepe. A Natale si festeggia la nascita di Gesù. Non il compleanno di Babbo Natale!
Però il Natale è comunque entrato in tutte le case e nessuno può dissociare questo giorno dalla nascita di Gesù. Non solo, è vero che il giorno di Natale va a sostituire nella data una festa pagana ma non credo che allora si parlasse di “Natale” con questo esatto termine. Oggi, sia chi si scambia soltanto regali che chi pensa a un pranzo con i parenti, come chi guarda la tv o fa una donazione ai poveri, è costretto a pensare alla parola “Natale” e quindi del “giorno della nascita” di Gesù. E quindi a riflettere anche solo un momento al profondo significato di questa ricorrenza.
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Proprio nell’ultima pagina si legge che il Natale di oggi è il Natale dei consumi, di noi esseri umani che non ci preoccupiamo del fatto che le nostre risorse si stanno esaurendo. Ma piano piano ci stiamo rendendo conto che dobbiamo rispettare la natura e i suoi ritmi “per ritrovare nel sole e nelle altre energie rinnovabili una fonte energetica preziosa”. E qui mi è venuta in mente l’enciclica “Laudato si'” di Papa Francesco.
GdL – Pensieri su… “La famiglia Karnowski”
Non ero presente al primo incontro di lettura dopo l’estate, a settembre, e la scelta, come vi ho detto, era tra due libri:
“La famiglia Karnowski” di Israel Joshua Singer e “Piccola enciclopedia delle ossessioni” di Francesco Recami.
Non conoscendo né i libri, né gli autori ho lasciato che scegliessero per me e qualche giorno dopo ho ricevuto “La famiglia Karnowski”! Però devo ammettere che anche “Piccola enciclopedia delle ossessioni” ha solleticato la mia curiosità, quindi è entrato di diritto nella mia lista di libri che vorrei leggere…
“La famiglia Karnowski”, Gli Adelphi 2013, odore leggero e antico, pagine sottili. Il primo capitolo scritto al passato remoto, il secondo al presente indicativo. Poi si alternano nei vari capitoli. Copertina morbida, non liscia, sembra di gomma, trattiene le dita che ci scivolano sopra. Bella l’immagine di copertina, una cartolina d’auguri per il Capodanno ebraico dei primi del Novecento in Germania.
Pag. 45: “ebbe la vita facile”, si dice “ebbe vita facile”.
La religione al centro, i protagonisti sono Ebrei osservanti, ma non tradizionalisti come quelli del libro “Una moglie a Gerusalemme”.
Anche in questo caso si parla dell’avidità degli Ebrei, e a pensarlo è l’insegnante di storia tedesca di Georg. Se ne parla anche in “Lo scrittore fantasma”, nel racconto scritto da Nathan Zucherman che aveva scandalizzato parenti e amici.
Pag. 72: “Per quanto si trovi nella più brutta viuzza di Berlino, vive in un mondo di castelli, cavalieri e amori sublimi”.
Pag. 109, e poi ripetuto molte volte:”occhi castani”, gli occhi sono marroni, i capelli castani.
Nel capitolo 14 si parla del “fronte occidentale”, che mi ha ricordato il libro “Niente di nuovo sul fronte occidentale”: un libro, crudo, diretto, triste e vero. Nello stesso capitolo si parla anche dell'”influenza spagnola”, e della cosiddetta “spagnola” raccontava anche la mia bisnonna, l’unica che ho conosciuto. Un mondo lontano quello narrato in questo libro ma non tanto quanto potremmo pensare.
Molto bello il capitolo 27, che riporta il sentire della gente dell’epoca, l’atmosfera che si respirava prima della Seconda Guerra Mondiale.
Poi l’America: una nuova vita per tutti e il destino si ribalta, in positivo o in negativo.
L’ultima parte è quella dedicata a Jegor, gli ultimi capitoli in particolare. Il suo tormento interiore, essere ebreo e tedesco allo stesso tempo. E poi il finale. Jegor che sarebbe potuto diventare una spia per la Germania ma non è in grado di esserlo, perché non ha iniziativa e creatività, e allo stesso tempo rifiuta nel suo animo di esserlo. Jegor che scappa di casa e frequenta giovani tedeschi: con loro si sente uno di loro ma davanti agli ebrei sente di appartenere anche a loro, che in qualche modo lo riconoscono come ebreo. Jegor confuso, con la testa piena delle idee imparate in Germania su una razza ariana superiore alle altre, resta sempre a metà tra tedeschi ed ebrei. E alla fine finisce per uccidere il dottor Zerbe, un uomo mediocre che lo aveva illuso di poter tornare un Giorno in Germania e diventare ariano onorario, si spara, davanti casa, tornando dopo mesi passati da solo in un mondo a lui ostile. Suo padre, un grande chirurgo in patria, e sua madre, infermiera, cercheranno di salvarlo. Il finale resta aperto, incerto, imperscrutabile, come il destino di tutti quegli Ebrei fuggiti dalla Germania. Jegor si è macchiato di omicidio: sarà scoperto, sarà arrestato se dovesse sopravvivere? L’ultima frase lascia comunque un senso di speranza, come se Jegor potesse salvarsi dopo quello sparo vicino al cuore, con la pistola del dottor Zerbe: “I primi raggi dell’alba trafiggevano la fitta nebbia, illuminando le finestre con la luce livida del sole nascente”.
Pensieri su… “The Dream River”
Di solito non leggo fumetti, fatta eccezione per Topolino. Prima leggevo anche Dylan Dog ed è proprio a lui che secondo me somiglia un po’ uno dei protagonisti del fumetto “The Dream River”, scritto e illustrato da Viviana Di Chiara, una giovanissima con tanto talento.
Il protagonista si chiama Rocco mentre la protagonista… non lo sa! Sì, perché mentre lui è un ragazzo come tanti, lei è… non lo so! Combatte gli incubi e ha un ombrello e stranamente il giovane riesce a vederla.
Questo fumetto sembra un po’ un’introduzione a questi due personaggi che per caso s’incontrano e cominciano ad interagire tra loro. Finito di leggere, ho subito pensato: e adesso che succede? Per fortuna ho saputo che l’autrice sta lavorando al seguito!
Trovate i suoi lavori su Facebook: “Viviana Di Chiara Art”!